E’ dedicata alle donne, la mostra “Women 2019“, titolo di questa prima personale del giovane artista Pako Bono. La provocazione verso certi cliché sociali è la linea che caratterizza i lavori in esposizione, un chiaro segnale di insofferenza verso determinate realtà sociali e morali che spingono P.B. a dipingere senza nessuna regola, realizzando un’arte totalmente svincolata da convenzioni e canoni. L’arte in questa accezione, crea “terremoti”, stravolge e modifica modi di vedere e distorce realtà profondamente consolidate, creando una nuova semantica attraverso segni, colori e idee che non sempre convergono con il pensiero collettivo. La donna è il soggetto predominate, quello che meglio risponde alle necessità espressive dell’artista. La donna, la fèmme fatale, l’anima tormentata, l’essere femminile visto nelle sue contraddizioni, un essere in potenza che genera ma distrugge, ama così comeodia e si ama così come si autodistrugge. La donna è un microcosmo che vive, o sopravvive, all’internodi un macrocosmo che non sempre genera tranquillità, ma può alterare gli stati d’animo in modo esponenziale, portando la stessa alle estremizzazioni del proprio essere: la donna si allinea al macrocosmo in cui vive e lo rispecchia. La donna si pone, dunque, al centro di profonde riflessioni e si evolve, nella mente dell’artista, con un movimento curvilineo, con l’alternanza di momenti “in” e “out”, dove l’essere femminile si disgrega in conseguenza di una società povera di tutto, ma che finge ricchezze morali infinite. Nelle 7 opere esposte, gli sfondi monocromatici forti e piatti del cartone o della masonite, contaminati da cartine geografiche e simboli vari, sono il mezzo attraverso cui l’artista cerca di evidenziare la femminilità nelle sue varie declinazioni comprese le sue trasgressioni. Le linee emergono con forza, richiamano l’attenzione dell’osservatore, provocano le sue reazioni: Pako Bono gioca sull’interazione cromatica del bianco e nero, estrapolando la poesia del vissuto personale su tela.È attraverso questo connubio che, probabilmente, l’artista racconta un po’ di sé stesso, attraverso un’autobiografia visiva che vede la genesi del suo amore per l’arte e per il disegno, che rappresentano imezzi di espressione e comunicazione ideali, i quali racchiudono i suoi pensieri più intimi. La sua visione al femminile ci racconta una donna forte e determinata, ma anche fragile e malinconica, provocante e riservata, chiusa, molto spesso, nelle sue stesse paure. Il momento della creazione è come una catarsi per P.B. che perde la cognizione del macrocosmo che lo circonda e segue, principalmente, il suo istinto; è lui che segue la sua mano, i suoi lavori sono totalmente privi di progettualità e sono il risultato di una spontaneità assoluta completamente priva di filtri. Se osserviamo meglio le opere notiamo, a volte in modo quasi impercettibile, una discrepanza fra la parte destra e sinistra dei lavori: Ecco, questo rafforza quanto detto prima, ovvero una delle due parti è l’impulsività dell’atto creativo, è il momento in cui l’arte e l’artista sono una cosa sola, dove si crea la forma di qualcosa che non ha nome, nessuna identità e solo successivamente, viene lavorata e definita, una volta compreso cosa si può realizzare da quella ispirazione catartica ed estatica. P.B. è un artista giovane che si muove attraverso diverse influenze, figlie di una mente aperta ed in continua creazione che prende spunto da quello che l’arte è stata ed è tuttora, e va alla ricerca di uno stile personale, una firma che lo distingua e sottolinei la sua originalità. È un’arte giovane e fresca, che cattura ed intriga, spinge chi osserva a porsi domande, a cercare risposte e ad immedesimarsi emotivamente in quelle pagine autobiografiche che l’artista ha deciso di condividere. Siamo davanti ad una mente creativa dal fortissimo potenziale, un vulcano di idee in continua eruzione che raggiunge l’apice nei suoi lavori presenti in sala, che richiamano all’arte underground, l’arte che è l’antitesi alla cultura di massa. Il risultato del lavoro di Pako Bono è espressione di una cultura giovanile non convenzionale che sempre più rifugge un presente scomodo e non gradito. Una forma pacifica di rifiuto che, utopicamente, aspira ad una società ben diversa; è un processo di alienazione sociale che vede nell’arte una potenziale “arma” di diffusione. È un mondo visionario, alterato dove non esiste nessuna sintassi logica, dove la “grammatica artistica” è esplosa in un caos segnico simbolico senza apparente definizione. Le cartine geografiche di sfondo definiscono a livello visivo quello che concettualmente ci sfugge. In generale, è come assistere ad un mondo dai connotati certamente più profondi, risultato di una continua trasformazione che necessita di esprimersi. L’artista dipinge perché sono il corpo e lo spirito a chiederglielo ed attraverso le sue mani la sua creatività si manifesta. Non è Pako Bono ad usare l’arte ma è quest’ultima che lo usa per affermare la sua esistenza




